L'ascolto della musica è cambiato moltissimo negli ultimi dieci anni.
La fruizione della musica è cambiata, sarebbe più corretto dire.
Sono successe un sacco di cose: dalla diffusione di internet (e della banda larga in particolare) a quella del formato MP3 e dei relativi lettori portatili, dalla crisi
del CD alla progressiva scomparsa dei negozi di dischi...
Parola chiave di tutto questo, digitalizzazione.
Chiaramente, il cambiamento non è stato solo tecnologico: anzi, direi che è stato soprattutto culturale.
Fino a metà anni novanta, la parola musica era più o meno sinonimo di album, disco, compact o musicassetta, comunque opera compiuta, finita; con l'avvento del digitale liquido, si è lentamente dissolta, nel grande pubblico, l'idea stessa di opera musicale compiuta.
La musica è diventata una sequenza di file personalizzata, in continua trasformazione e estremamente variegata, cartelle virtuali piene di centinaia o migliaia di canzoni.
E' chiaro che una volta scomparsa la dimensione fisica del disco (copertina e booklet compresi) e con essa la sua unicità (perché una cosa fisica, anche se industriale, una sua unicità la conserva, o in qualche modo la evoca...), scomparsa la sua sequenza definita di canzoni (scelta creativa fondamentale), dell'album musicale quale oggetto d'arte non rimane molto.
E' vero che i player software degli ultimi anni, da iTunes in poi, hanno ricercato un qualche collegamento fra il disco fisico e la sua versione digitale - immagine della copertina, testi ed organizzazione degli album liquidi stessi - ma concettualmente e praticamente rimangono cose molto diverse.
Poi è cambiato anche qualcos'altro.
La musica è diventata fondamentalmente gratuita.
Senza entrare nel complesso discorso della crisi dell'industria fonografica, delle major o delle etichette indipendenti, e tralasciando volutamente il dibattito sul p2p, è innegabile che tutto questo abbia avuto tantissimi aspetti positivi e negativi.
Positive sono le incredibili opportunità di diffusione che ha oggi l'autoproduzione, la possibilità che ha il singolo artista di disporre delle proprie opere, di qualsiasi genere esse siano.
Negativo è stato, a mio avviso, il diffondersi dell'idea che la musica sia qualcosa che si possa avere gratuitamente in quantità pressochè infinita, perché questa visione più o meno consciamente ne ha svalutato il valore che gli attribuiamo (come più o meno succede per tutte le cose gratuite e infinite).
Cosa significa oggi una canzone per l'ascoltatore medio?
Cosa significa oggi una canzone per l'ascoltatore medio che ne accumula migliaia nel suo disco fisso, spesso senza avere il tempo per ascoltarne bene almeno una piccola parte, spesso senza conoscerne nemmeno l'autore?
Quale valore attribuisce a questa sequenza di bit?
Ho l'impressione che in un momento dove la musica è praticamente ovunque, si ascolti sempre meno. Si sente tantissima musica, ma si ascoltano pochissime canzoni e ancora meno dischi. L'eccessiva quantità finisce con uniformare, l'infinita disponibilità contribuisce a rendere tutto un continuo, scontato sottofondo...
A volte, forse, manca semplicemente il tempo.
Migliaia e migliaia di canzoni nell'iPod non possono essere davvero ascoltate.
Metafora di tutto ciò, il progressivo scadimento della qualità di ascolto: gli stereo compatti che oggi troviamo negli scaffali dei centri commerciali sarebbero stati impresentabili una quindicina d'anni fa, le piccole casse amplificate del computer suonano come suonano, l'Hi-Fi è ormai un qualcosa di nicchia...
Ecco, io credo che in questi anni la musica intesa come arte abbia perso moltissimo valore.
Ovvio che gran parte di questi discorsi non valgono per gli appassionati.
Ma nella nostra società, un disco ha ancora il valore di un libro, di un quadro, di un'opera creativa?
<<Se un tempo ascoltavamo la musica per amore della musica, oggi essa urla ovunque e sempre, «senza chiedersi se abbiamo voglia di ascoltarla», urla negli altoparlanti, nelle auto, nei ristoranti, negli ascensori, nelle strade, nelle sale d'attesa, nelle palestre, nelle orecchie tappate dai walkman, musica riscritta, ristrumentata, scorciata, dilaniata, frammenti di rock, di jazz, di opera, flusso in cui tutto si mescola, al punto che non sappiamo chi sia il compositore (la musica diventata rumore è anonima), che non distiguiamo l'inizio dalla fine (la musica diventata rumore non ha forma): l'acqua sporca della musica dove la musica muore.>> (Milan Kundera)